Ditirambo, ovvero Nicola di Lecce Dicono sempre: la città all’ombra del Vesuvio, la quarta città della Campania, la città del corallo, cose così. Stereotipi. C’è invece altro, tant’altro. Questa è una Citta “altrove”, una città a gironi umani, ad anelli in mano a un prestigiatore che li lancia in aria uno per uno, o molti insieme, si uniscono e si separano, si perdono nell’aria, si ritrovano nelle mani del giocoliere. Giocoliere con sorprese, eccone una: apri u n cancello che porta a un garage ma non è un garage, è un ricetto d’arte, un gymnasium
Questa è una città, consentitemi, se non dalle cento porte, dalle cento arti sì, e tutte, con nostro orgoglio, ben fatte. Sono qui per assolvermi da un debito d’onore con un artista.
Parto da dati e date certe per afferrare fisicamente una persona che si laurea in Scienze Motorie e si specializza tre anni dopo in Cinesiologia Ortopedica. Insegna la materia per la quale ha studiato ma nel suo sangue scorre musica che egli, fin da giovanissimo, non intende affrontare “ad orecchio”, arrivando, più tardi, a una laurea non antica di Etnomusicologia.
Aveva cominciato con un gruppo il cui nome ci era familiare, I Corallini, a metà degli anni ’70. Ma desiderava aprire bottega d’arte in proprio: ne 1976 nasce “Napoli mia”, con Ottavio Aprea, Daniele Ciaravolo, Salvatore Saffioti, Paolo Delle Chiaie, Renato Boccia. Dopo qualche anno soltanto entra nella cooperativa “ Li Ciaravoli” diretta da Raffaele Brusa, poi da Pino Brancaccio, ed ancora da Filippo Palumbo che, se esco di buon mattino, incontro mentre dirige come musica una bicicletta, un rito giornaliero. Li Ciaravoli hanno girato il mondo, erano famosi. Sono entrati nelle corti europee e d’oltremare, strette di mani importanti, re e regine. Vi rimarrà per vent’anni. Poi il gruppo finirà.
Intanto Nicola trova il tempo per sposare Lucia Gargiulo che gli donerà tre figli, Antonino, Gianpiero e Alessandro. Si scavalca il secolo, nel duemiladue Nicola Di Lecce crea il gruppo “Etnica Ditirambo” che acquisirà notorietà internazionale. Riconoscimenti importanti: Padre del Folklore 2010 dal Ministero dei Beni Culturali e Federazione Italiana Tradizioni Popolari. Sempre in quell’anno riceva a Cava dei Tirreni la Medaglia d’Oro del Senato della Repubblica. Sempre dal Ministero dei Beni culturali Etnica Ditirambo è stato riconosciuto come gruppo di interesse nazionale.
I giovani intorno a questa musica: Rosy Ascione, voce. Con Gino Vituperio, voci e percussioni, v’è il fratello Nello col mandoloncello, Giulio Mazza è basso acustico, Pasquale Solvino violino, Giovanni Montella batteria e lust but not least il figlio e nipo- te d’arte che non poteva non esserci, Antonino Di Lecce: nel nome ricorda il nonno, suona chitarre.
Nicola, che ha studiato flauto e ottavino, si specializza, in questi anni, nello studio di strumenti di tradizione, dall’antica Grecia ad oggi: l’aulos, il flauto di canna, il doppio flauto di canna, le ciaramelle, i flauti del mondo arabo, i flauti irlandesi, e quelli del medioevo. Nella pittura puoi sbavare, tornare indietro, cancellare, ricominciare, contrabbandare macchie come grandi idee e concetti, spesso è un gioco al quale impropriamente v’è facile accesso. La musica è rigore, armonia, tempi, spazi, matematica, colore. Da tempo mi attardo su Rai 5 che ne offre tanta di buona musica, o in un palco del San Carlo. Mi reputo incompetente, per quel rigore di cui ho detto, non è facile, posso appropriarmi soltanto del piacere. Godo di qualche amicizia di competenza, chiedo lumi.
Nicola di Lecce è figlio d’arte. Antonino Di Lecce, impiegato comunale, lavorava col sorriso di una intima felicità, non convenzionale, la musica in testa. Antonino cantore appassionato componeva canzoni, organizzava feste, “stava in mezzo”, come noi diciamo, amico di musicisti e poeti, legato a don Peppe Raiola detto Raimir, al maestro Ernesto Vuotto, e a tanti altri artisti n apoletani. Era animatore dei circoli cittadini, la sua gioia i mitici Carri di Piedigrotta, la grande festa napoletana per il concorso dei carri allegorici: dopo alcuni anni di successi la Commissione napoletana dovette chiedere ai torresi di partecipare fuori conc orso, troppo distanti per bellezza e arte i carri nostri. Di Antonino Di Lecce sono stato caro amico con la mia famiglia, era stimato da tutti, sempre cortese e sorridente.
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La memoria è tristezza o gaiezza, è in bianco e nero, raramente volgo pensiero su scene a colori. Come fotografie il bianco e nero o voluttuosamente color seppia. In un nostro album di famiglia ce n’è una così, coi margini dentellati, come una volta si faceva, Con il contributo di un allora giovane fotografo, Guerino Marianera, in un quartiere popolare, ammiezassangaitano, su un marciapiedi dove mio padre sempre più spesso portava una sedia per sedersi al sole, un poco più in là del suo salone di barbiere, c’è un gruppo di persone, in posa e preparati per una festa di Carnevale: i miei fratelli da me distanti in età, qualcuno col mandolino tra le mani, un altro vestito da Pierrot. C’è Antonino Di Lecce in abito da sera, o forse in frac, era un bell’uomo, se lo poteva permettere.
Nicola di Lecce, anche se non in frac è come se lo fosse, ha ereditato amabilità, passione per la musica, eleganza nei modi. Un nostro vanto, porta il nome di Torre del Greco in confini lontani.
Un nostro orgoglio, gli vogliamo bene.
Ciro Adrian Ciavolino
ph Pasquale D’Orsi
Articolo pubblicato sull’edizione cartacea in edicola il 4 giugno 2014