Queste golosità, a Natale, si portano in tavola insieme al cesto della frutta secca, che a Napoli si chiamano sciòsciole, e sono costituite da noci, noccioline, arachidi e frutta secca in genere, insomma la “botta” finale a conclusione delle luculliane cene natalizie.
Folariello-Sorrentini

Sulle origini del nome, un particolare ringraziamento va all’amico Antonino Casola, che ne ha fatto una piccola ricerca linguistica. Il Follaro (bozzolo in lingua tosca) era un involucro o anche una moneta che veniva battuta a Sorrento sotto il Duca Sergio II che regnò dal 1111.
Tuttavia il follaro che interessa a noi è costituito da foglie di limone o di fico avvolte e contenenti uva o prugne aromatizzate con bucce d’arancio e passate per il forno!
Da qui il nome di “follariello”, parola diffusa in numerosa letteratura e riportata dai vari dizionari napoletani non “folloviello” (parola inesistente nei vari dizionari della nostra amata lingua napoletana) come riportato su alcune confezioni che da un po’ di tempo si vedono in giro!
L’amico Salvatore Argenziano aggiunge: già nel dialetto napoletano, “fòllaro” ed anche “fòllero”, identica fonia per entrambe, con le vocali post-toniche dalla pronuncia evanescente (erroneamente dette mute). Etimologia dal latino “follis”, sacchetto, borsa.
Ingredienti:
– Mosto 1 litro – zucchero gr. 500 – uva regina (che in penisola sorrentina è chiamata uva pane) kg 1 – sale – vino bianco 1 bicchiere – 3 mandarini – 3 limoni – anice 1 bicchierino – cognac 1 bicchierino – foglie di fico – foglie di limone.
Esecuzione:
La ricetta è antichissima, risale al periodo romano, anche se allora si utilizzavano come involucro le foglie di fico, platano e vite, poi sostituite attualmente da quelle di agrumi. Quando fanno la vendemmia e vi regalano quel mosto fresco fresco tanto buono che non puoi berne più di un bicchiere, poiche’ gli effetti collaterali non sono dei più allettanti, ecco proprio quel succo, non ve lo bevete ma utilizzatelo facendoci cuocere cuocere in due litri mezzo kg di zucchero per circa tre ore, fino a quando non si riduce alla metà. Conservatelo in una bottiglia con tanto di etichetta con nome scritto di sopra, che non si sa mai. Ora fate bollire acqua abbondante con un bel po’ di sale e, quando bolle immergete l’uva, per due o tre volte per pochi secondi. Prendete l’uva sistematela in una cassetta o una cesta e mettetela al sole per una settimana. Poi, sistemata su di una teglia, la passate in forno a temperatura moderata per mezz’ora, poi lavatela nel vino bianco e quindi ancora una volta ripassatela nel forno per una decina di minuti circa. L’uva passa e così pronta la sistemate e conserverete in piatti coperti da un tovagliolo o da carta pergamena. In genere questa operazione viene fatta qualche mese prima delle feste natalizie, quindi mettete a macerare nel mosto per 2 giorni i chicchi di uva passa con le scorzette di mandarino e limoni, tagliuzzate finemente, un bicchierino di anice ed uno di cognac.
Procuratevi delle adamitiche foglie di fico 🙂 quelle con lo stelo. Ogni foglia si piega formando un “coppetello”, ed al centro del quale andrete a mettere le due foglie di limone, ed infine un bel cucchiaio di chicchi d’uva oramai ben insaporiti. Lo stelo della foglia di fico, affilato con un coltellino tagliente, ripiegato si fisserà sulla foglia per chiudere il fagottino. Ripassate in forno a calore moderato per una ventina di minuti.
In cucina con Angie

Articolo pubblicato sull’edizione cartacea in edicola il 07 ottobre 2015