Volete delle prove per quanto sto sostenendo? Bene, procediamo. Avete intenzione di comprare un’auto nuova? Quali sono le prime informazioni che chiedete al venditore? Non c’è dubbio, gli domandate: “Qual è la sua velocità massima? In quanti secondi arriva da zero ai cento chilometri orari?”
E quale sarà la caratteristica determinante di un computer che v’apprestate ad acquistare? Anche in questo caso, la risposta è inequivocabile: la sua rapidità di ‘connessione’ e di funzionamento, la sua capacità di eseguire operazioni in un ‘milionesimo di secondo’, invece che in ‘due’, come il vecchio, ancora per tanti versi efficiente, elaboratore che già possedete!
Pure il linguaggio comune, già da tempo, s’è adeguato a questa realtà. Com’è il caffè che prendiamo, in tutta fretta, al bar? Ma espresso, naturalmente!
E il treno che ci condurrà verso l’agognata meta del nostro viaggio? Non può che essere un rapido!
Persino quando ci invitano a riflettere su un problema, ci chiedono di farlo in ‘un attimino’! A parte il fatto che il termine attimino è veramente orribile, ma mi spiegate come faccio a riflettere bene in un lasso di tempo così esiguo?
Una volta, si faceva una partita a carte con gli amici, per stare un poco di tempo assieme, per godere della reciproca compagnia.
Adesso anche i tempi di una ‘scopetta’ si sono accorciati: la partita, spesso, infatti, non finisce più a ‘undici’, ma a ‘sette’!
Si partecipa ad un quiz televisivo? Chi sarà il vincitore? Ovviamente, il concorrente che, per primo, riuscirà a rispondere in maniera esatta alle domande!
Telefonate a vostra moglie per dirle di prepararvi qualcosa da mangiare: come dovranno essere gli spaghetti che s’appresterà a cucinare? C’è da dubitarne? Saranno due spaghettini veloci veloci!
Mi sembra inutile andare avanti con gli esempi: questa nostra è una società ultra rapida, a misura di ‘Superman’. Resta, però, da chiedersi: perché corriamo tanto? E per andare dove, poi? Chissà, forse, sarebbe il caso ogni tanto di fermarsi, e riflettere… Un attimino? No, per l’amor del Cielo, un attimino proprio no!
Una cosa è certa: il ‘Mondo che va di corsa’, sta dimenticando le tradizioni, a volte fa passare sotto silenzio persino le ricorrenze importanti…
Per me, per fortuna, non è così. Io alle tradizioni ci tengo e le rispetto. In particolare, sento molto, dal punto di vista emotivo, il Santo Natale, la sua magica atmosfera…
La mia è una bella famiglia numerosa, una ‘razza’, purtroppo, in via d’estinzione.
Siamo tre fratelli e tre sorelle, che per tutto l’anno si sentono (raramente) solo per telefono, ma a Natale no; al diavolo gli impegni, le distanze: a Natale dobbiamo stare tutti insieme! E’ così da quando ci riunivamo tutti nella casa paterna.
Adesso i genitori non ci sono più. Mi piace pensare che loro, il Natale, continuino a festeggiarlo lassù, con i ‘veri protagonisti’ di questa meravigliosa favola.
Io e i miei fratelli c’incontriamo ancora nella loro vecchia casa (che adesso, però, è casa mia) situata nella zona periferica della cittadina, nella quale siamo venuti alla luce tutti quanti noi.
L’ho regolarmente comprata dai miei consanguinei, a valore di mercato, eppure ogni tanto devo sorbirmi, facendo finta di niente, la ‘stilettata’ al buon affare che avrei fatto acquistandola! Per intenderci, solo con quello che ho speso per ristrutturarla, avrei potuto costruire, persino al centro del paese, un elegante e moderno villino!
Ma vi ho detto che ci tengo alle tradizioni, e perciò sono contento d’averla presa, la mia vecchia casa, e al diavolo le malelingue!
“Questo Natale si è presentato come comanda Iddio…” dice il grande Eduardo a sua moglie Concetta, in una sua famosissima commedia, riferendosi alla temperatura glaciale che accompagnava quell’anno la grande festa della natività.
Anche il Natale che si sta avvicinando – siamo alla ‘vigilia’ – è rigido per la forte tramontana. Il mio suggestivo paesello è sommerso da una candida coltre di neve, come non si vedeva da un’eternità…
Alfredo, il mio fratello più grande, è già arrivato. Col suo potente fuoristrada è passato sulla neve come sulla più comoda e scorrevole autostrada.
Dopo circa un’ora, la telefonata di Erminio, l’ultimo fratello maschio, dalla stazione ferroviaria. E’ rimasto bloccato lì con la famiglia, il servizio di corriera non funziona, con quella montagna di neve che è caduta. Nessun problema: io e Alfredo ci precipitiamo in suo soccorso, col ‘macchinone’!
“Proprio non capisco come faccia Alfredo a mantenere una macchina così, con tutti i guai che sta passando…” mi dice Erminio a voce bassa, ma non tanto da non essere udita anche dal primogenito.
Alfredo, e fa bene, finge di non aver sentito. Io guardo Erminio e lo incenerisco. ‘Cerchiamo di non rovinarci anche questo Natale, come al solito!’ è questo il senso esplicito della mia occhiataccia.
A casa, sono arrivate pure le mie sorelle, Pasqualina, Lisetta e Mariuccia, con tutto il codazzo dei figli, la cui età spazia dai due ai tredici anni. Vi lascio immaginare che goduria! Sembra di stare al San Paolo per Napoli-Juve!
Ettore junior, un omaggio a mio padre, strepita: è l’ora della ‘pappa’, e non vuole sentire ragioni. Diego – qui l’omaggio è all’ineguagliabile ‘genio del pallone’ del quale il marito di mia sorella Mariuccia è stato un tifosissimo – vorrebbe ‘inaugurare’ la cassata prima che sia portata in tavola, scatenando le giuste ire di mia moglie che ci ha lavorato la notte intera, su quel dolce.
Le mie ‘tenere sorelline’ cominciano con i loro soliti, velenosi, apprezzamenti su Ingrid, la moglie svedese di Alfredo.
“E’ inutile illudersi… Il tempo passa per tutte, anche per le ‘nordiche’!” insinua, perfida, Lisetta.
“Hai visto? Ha le rughe… e pure il doppio mento. Dallo scorso Natale, ha fatto proprio una brutta caduta…” le dà man forte Pasqualina.
“Già, e che ne dite di quel sacco di patate che si porta dietro?” è Mariuccia che parla, facendo riferimento all’abbondante posteriore della svedese.
Le chiacchiere e i pettegolezzi sulla povera Ingrid non sono una novità. Tutta la
‘comunità bucolica’, per la verità, ha sempre provato gusto a sparlare di lei, da quando Alfredo si presentò nella piazza principale del nostro ameno paesello, in una Pasqua di circa dieci anni fa, trainandosi a rimorchio quella ‘stangona bionda’, di quasi due metri, dei quali più della metà occupati solo dalle gambe!
Vi lascio immaginare i commenti dei miei compaesani, provinciali e ‘xenofobi’, quando Ingrid faceva mostra di quelle gambe lunghissime e ben tornite, neppure lontanamente celate dalle sue minuscole minigonne!
Le chiacchiere, i commenti volgari sussurrati a mezze labbra, diciamolo pure, le invidie, diventarono vere e proprie malignità, quando Alfredo decise d’impalmarla, la spilungona nordica.
E quella volta furono più le ‘giovani comari’ del paese a farsi sentire. Alfredo era un bel ragazzo, conteso, appetito, brillante, che amava – come si dice dalle nostre parti – ‘spendere e spandere’, pur se al di sopra delle sue reali possibilità economiche.
Una in particolare, Antonietta, la figlia di massaro Giuseppe, il nostro vicino di podere, sembrava essere stata morsa da una tarantola, tanto era il veleno che spargeva su quell’unione che stava per essere sancita davanti a Dio.
“Non ne poteva trovare al suo paese, di belle ragazze, il signorino Alfredo!” diceva stizzita, e le altre ‘zitelle’ come lei assentivano. “E no, se l’è andata a cercare lontano, quasi all’altro mondo la mogliera! Ma se ne accorgerà, ah, se se ne accorgerà! Quella gli metterà tante di quelle corna che non si potrà più mettere il cappello!”
Per la verità, a me non risulta che Ingrid sia stata una moglie infedele. Alfredo, il suo berretto, quando nevica, continua a calzarlo senza fatica, ed ho controllato: non è forato all’altezza della fronte…
Le ‘corna’ non le ha, però – dal punto di vista economico — di sicuro si sta rovinando; fa debiti su debiti, e molti li ha contratti per assecondare i capricci della sua esigente mogliettina.
Adesso il mio ‘fratellone’ sta discutendo molto animosamente con Erminio. Sono
distanti, ma posso immaginare il perché della disputa: Alfredo dovrà dei soldi anche a lui!
Su quelli che gli ho prestato io l’altro Natale, è meglio che ci metta sopra una bella pietra, pesante: non li vedrò mai più! L’ho capito dal suo sguardo mortificato, sfuggente, quando gli ho chiesto come avesse fatto ad acquistare quel mastodontico fuoristrada con il quale s’è presentato al paese.
Mi accorgo che la discussione tra Alfredo ed Erminio sta degenerando: devo intervenire, non posso permettere che una banale, meschina, questione di soldi metta a repentaglio l’armonia, la sacralità del nostro Natale. Già poco prima, se Ingrid avesse sentito i commenti delle mie tre care sorelline…
“Alfredo, Erminio, su venite a darmi una mano. C’è da apparecchiare la tavola, la cena è quasi pronta.” dico con un largo sorriso.
E adesso si pone il solito problema. Tutti gli anni è la stessa storia. Erminio compra una tonnellata di anguille, ne va pazzo. Però non c’è nessuno disposto a far loro la festa. Mia moglie, si rifiuta, per principio.
“A me non piacciono: che quelle cose le ammazzi chi dopo se le mangerà!” sostiene, e mi sembra giustamente.
“Io?” si schermisce Erminio. “Nemmeno per sogno! Sono ospite vostro, tocca a voi provvedere alla cucina! E’ già tanto se le ho comprate, le anguille…”
“Ma chi ti prega di comprarle?” ribatte la ‘padrona di casa’, infuriata. “Ti piacciono le anguille? Non vuoi ucciderle tu? Allora che ci pensi tua moglie!”
L’interpellata per poco non viene meno. Diventa prima rossa, poi verde dalla bile, si avvicina al paonazzo…
Temo che stia per prenderla un ‘coccolone’! Capisco che, se voglio evitare una tragedia, mi tocca ‘immolarmi’: sarò io il killer di quelle cose viscide e sguscianti!
Erminio prende uno strofinaccio e agguanta la prima vittima; io sono pronto con il
coltellaccio. Mentre, zac!, calo il fendente, Ingrid urla, Erminio si spaventa e molla la presa. L’anguilla scappa via e il coltello, per poco, non recide una mano del mio fratellino.
Mi son venuti i brividi, sono tutto sudato… Tiro un profondo sospiro di sollievo per il pericolo scampato…
Però adesso, basta così, non si può fare! Queste anguille sono più pericolose dei serpenti velenosi!
Decidiamo di sistemarle nella vasca da bagno: se domani troveremo qualcuno disposto a fare il carnefice, bene, altrimenti le anguille le regaleremo al compare Nicola, il macellaio. Lui non dovrebbe avere problemi a decapitarle.
E siamo alla sera, a cena. Mia moglie porta a tavola un quintale di spaghetti con le vongole.
“Sono scotti!” è il primo, malevolo, commento di mia sorella Pasqualina.
“Pure le vongole non mi sembrano proprio freschissime…” aggiunge subito la cara Lisetta. “Non mi dire che hai comprato quelle congelate…”
“Ma il sugo non l’hai fatto con i pomodorini piccoli, quelli del piennolo!” rileva, stizzita, Mariuccia.
Fino al dolce, è un continuo lamentarsi per questo o per quello. Mia moglie mi guarda e, per decenza, per non cadere nel volgare, è preferibile non riferire quello che colgo nel suo sguardo!
Ma vorrei anche non dovervi raccontare ciò che è accaduto il giorno dopo, il santo giorno di Natale. Siamo a tavola, ed io già da tempo sto osservando quel diavolo di Diego che armeggia intorno al mio presepio. Tocca il cacciatore, rischiando di ‘spezzare’ il sottile, anacronistico, fucile che ha tra le mani; tira fuori un oste dalla grotta dove ho allestito la rustica taverna, fa ondeggiare pericolosamente gli angioletti…
Fremo, sono in ansia: guai se mi rompe un pastore! Cerco di farlo tornare a tavola, al suo posto. Niente da fare, neppure quando gli offro la cassatina, il suo dolce preferito!
Sta lì, attaccato al mio presepio, tocca e ritocca, fino a quando, ecco la frittata! Ha preso l’asinello, che se ne stava tranquillo tranquillo nella grotta, accanto al placido bue, in attesa di poter riscaldare il bambinello, e quello patatunfete! gli è caduto dalle mani!
“Si è solo staccata la testa.” fa la madre, nel tentativo di minimizzare il tragico accaduto. “Non fa niente, che vuoi che sia, prendi un poco di colla e l’azzecchi”.
“L’azzecco!… L’azzecco?” grido inviperito. “Se volevo una statuina azzeccata, mi tenevo quella che avevo! Io, per comprare quest’asinello, mi sono fatto due volte a piedi tutta Spaccanapoli!”
“E la folla, tutta quella folla!” aggiungo gemendo. “Io non camminavo, era la folla che mi trasportava, volavo…”
Poi, per evitare una strage, mi impongo di tornare calmo e perciò mi tuffo su una gigantesca fetta di panettone. Mentre l’addento con ferocia, sfogando su di essa la mia rabbia, penso: ‘E con questo, abbiamo toccato il fondo. Però, adesso basta! Ho sopportato tutto, le critiche alla cucina di quella santa donna di mia moglie, i
pettegolezzi su Ingrid, i soldi che Alfredo non mi ridarà, persino la guerra con le anguille, ma il presepio no! Quello è una cosa sacra, non me lo dovevano toccare! Ma questa, giuro, è l’ultima volta che mi faccio il sangue acido: il prossimo Natale, cari parenti, se vorrete trascorrerlo con me, dovrete venire fino ad Acapulco!’
Ernesto Pucciarelli