Riprendiamo, dopo la pausa estiva, la nostra rubrica, soffermandoci sull’esito del referendum costituzionale in prospettiva di quelle che potrebbero essere le conseguenze dello stesso. Riteniamo inutile, a questo punto, dilungarci sull’opportunità della modifica costituzionale sancita dalle urne; occorre, piuttosto, chiedersi cosa occorrerà fare, alla luce della riduzione del numero dei parlamentari, per garantire il migliore funzionamento dell’intera assemblea legislativa.

E’ evidente che il sistema bicamerale esce rinforzato dal referendum costituzionale: improbabile, infatti, che si arrivi, nel prossimo futuro, ad una abolizione del Senato, dalla quale residuerebbe la sola Camera con appena quattrocento deputati. Se, però, il Parlamento deve mantenere la sua struttura bicamerale ciò non significa che questa debba essere necessariamente improntata al c.d. “bicameralismo perfetto”. Nell’attuale sistema, quello espressione dell’Assemblea Costituente, Camera e Senato fanno, in sostanza, le stesse cose.

In modo particolare, per ciò che concerne la produzione normativa, le leggi richiedono, per essere promulgate, che sul loro testo sia stata raggiunta l’intesa tra deputati e senatori; di qui, infatti, la c.d. “navetta”, ossia il passaggio di un disegno di legge da un ramo all’altro del Parlamento fino a quando lo stesso testo non sia stato approvato sia dalla Camera che dal Senato. Se l’esito del referendum apre, dunque, la strada ad una ulteriore discussione su come far funzionare meglio, e più rapidamente, l’intera assemblea legislativa, riteniamo opportuno discutere in merito alla possibilità di superare proprio il bicameralismo perfetto, al fine di snellire, senza con ciò mortficare la dialettica democratica, il procedimento di approvazione delle leggi.
Alessandro e Giovanni Gentile



Rubrica “Avvocati del Diavolo” da l’edizione cartacea de La Torre