Napoli – Nellā€™ambito di una collaborazione tra Dipartimento di Agraria dellā€™UniversitĆ  Federico II e Museo Archeologico Nazionale di Napoli (Mann) avente come oggetto lo studio sistematico dei reperti organici conservati nei depositi del Mann, nel 2018 un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Agraria (DiA) aveva avviato una ricerca sul contenuto di una bottiglia di vetro conservata nei depositi del Museo.

I depositi del Mann custodiscono i materiali recuperati nelle fasi piĆ¹ antiche degli scavi avviati da re Carlo di Borbone in area vesuviana quindi il periodo borbonico ed i decenni successivi; la bottiglia in particolare pare provenire da Ercolano, ma, analogamente a molti altri reperti, con il tempo ĆØ andata perduta lā€™informazione relativa allā€™epoca del suo recupero. Lo spunto che ha dato lā€™avvio a questo studio si deve ad Alberto Angela che durante un sopralluogo ai depositi del Mann notĆ² il fatto che la bottiglia fosse ancora piena per piĆ¹ di metĆ  del suo contenuto. Lā€™ipotesi di Angela era che si potesse trattare di vino, ma le analisi hanno portato ad un risultato diverso e per molti versi sorprendente ed inatteso.Ā Le ricerche condotte da un team multidisciplinare coordinato dal professore Raffaele Sacchi, del Dipartimento di Agraria, hanno consentito per la prima volta di verificare lā€™autenticitĆ  e caratterizzare lā€™identitĆ  molecolare di un campione di olio di oliva conservato allā€™interno di una bottiglia di vetro sepolta dallā€™eruzione del Vesuvio del 79 dC.

Lā€™impiego di tecniche molecolari e la datazione al carbonio-14 di uno fra i piĆ¹ rappresentativi ā€œarticoli edibiliā€ conservati al Mann, hanno permesso di risalire contenuto della bottiglia di vetro con aspetto del tutto simile a quelle rappresentate in affreschi ritrovati a Pompei. Si tratta di unā€™enigmatica sostanza solida dalla consistenza cerosa ritrovata con tutta probabilitĆ  a Ercolano nel corso degli scavi archeologici iniziati dal Principe dā€™Elboeuf nel 1738 e continuati da Carlo di Borbone.



Gli studi effettuati dalĀ team di ricercatori dellā€™UniversitĆ  di Napoli Federico II, del Cnr e dellā€™UniversitĆ  della Campania Vanvitelli hanno dimostrato che il materiale organico originariamente presente nella bottiglia era olio dā€™oliva, che, per effetto delle alte temperature a cui la bottiglia ĆØ stata esposta al momento dellā€™eruzione del Vesuvio e dei profondi cambiamenti che si sono verificati nei quasi due millenni di conservazione in condizioni incontrollate, porta le tracce di profonde modificazioni chimiche tipiche dei grassi alimentari alterati.Ā Rispetto a questi ultimi ĆØ sopravvissuto davvero molto poco delle tipiche molecole dellā€™olio dā€™oliva: i trigliceridi che rappresentano il 98% dellā€™olio si sono scissi negli acidi grassi costitutivi; gli acidi grassi insaturi si sono completamente ossidati generando degli idrossiacidi che a loro volta, con una lenta cinetica, nel corso di circa 2000 anni, hanno reagito fra di loro formando dei prodotti di condensazione, le estolidi, mai osservati in precedenza nei processi convenzionali di alterazione naturale dellā€™olio dā€™oliva. La sostanza grassa (d) nel corso dellā€™irrancidimento ha, inoltre, prodotto una moltitudine di sostanze volatili che sono quelle rintracciabili in un olio fortemente rancido, derivanti dalla decomposizione dellā€™acido oleico e linoleico. Il profilo degli acidi grassi saturi e quello dei fitosteroli hanno consentito poi di stabilire con certezza che la materia grassa era di origine vegetale e non conteneva grasso di origine animale, ampiamente utilizzato dalle popolazioni dellā€™epoca, e che si trattava inequivocabilmente di olio di oliva.

ā€œSi tratta del piĆ¹ antico campione di olio di oliva a noi pervenuto in grosse quantitĆ , la piĆ¹ antica bottiglia dā€™olio del mondo ā€“ commentaĀ Raffaele Sacchi ā€“.Ā Lā€™identificazione della natura della ā€˜bottiglia dā€™olio archeologicoā€™ ci regala una prova inconfutabile dellā€™importanza che lā€™olio di oliva aveva nellā€™alimentazione quotidiana delle popolazioni del bacino Mediterraneo ed in particolare degli antichi Romani nella Campania Felixā€.

Lo studio ĆØ stato pubblicato sulla rivista NPJ Science of FoodsĀ del gruppo Nature.