I lettori ci perdoneranno se per una volta approfittiamo dello spazio di cui disponiamo per una riflessione intorno alla categoria professionale di appartenenza, che è quella degli avvocati. La classe forense viene spesso ascritta al novero delle corporazioni, ossia di quei gruppi di persone che, unite da interessi comuni, operano, anche a scapito del bene collettivo, per la difesa ad oltranza dei loro privilegi. Ebbene, ad onta della communis opinio, che attribuisce carattere corporativo alla classe forense, ci sentiamo di smentire questa visione, che, soprattutto dall’osservatorio privilegiato di chi è parte di questa categoria professionale, appare priva di riscontro con la realtà. Innanzitutto, occorre rilevare come, non di rado, gli avvocati debbano fare i conti con una certa divisione al loro interno, conseguenza, forse, del carattere del tutto peculiare della professione esercitata, tale da impedire una ipotetica difesa di interessi di parte.

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Nel momento in cui, però, la classe forense riesce a fare fronte comune (si vedano le proteste degli ultimi tempi), dimostra, riteniamo, di mobilitarsi non (quantomeno non solo) per la tutela di interessi di categoria, ma a difesa di tutti i cittadini e, comunque, sempre in aderenza al dettato costituzionale, troppo spesso minacciato da iniziative legislative che, dietro la presunta volontà di velocizzare la macchina della giustizia, minano, in realtà, le fondamenta della stessa. Protestare contro la conciliazione obbligatoria equivale a difendere gli interessi degli avvocati o, piuttosto, quelli del cittadino? Prendere posizione contro i rincari nell’accesso alla giustizia significa tutelare la classe forense o i cittadini tutti? Quali sono, allora, le espressioni in cui prende forma il ‘famigerato’ carattere corporativo degli avvocati?
Alessandro e Giovanni Gentile

Articolo pubblicato sull’edizione cartacea in edicola il 05 marzo 2014