Il fenomeno del c.d. “femminicidio” è, purtroppo, una triste realtà dei nostri tempi. Quasi ogni giorno, infatti, si apprende di fatti di sangue riguardanti donne rimaste vittime delle ossessioni ‘amorose’ di uomini. L’attenzione rispetto a tale fenomeno da parte dell’opinione pubblica è giustamente alta; eppure i delitti a scapito di donne continuano ad essere commessi. Il nostro ordinamento non prevede, in effetti, il reato di “femminicidio”, prevede, tuttavia, norme abbastanza severe in tema di “atti persecutori” (noti anche come “stalking”). L’introduzione nel nostro codice penale del reato di “femmincidio”, in effetti, non produrrebbe, a nostro avviso, alcun risultato in prospettiva di prevenzione dei fatti di sangue. Dato che, però, i fatti di sangue sono spesso preceduti da condotte di tipo persecutorio, risulta di fondamentale importanza che le donne che subiscono minacce da parte di uomini ricorrano agli strumenti di tutela che la legge mette loro a disposizione. E’ noto, infatti, come la maggior parte delle donne che si vedono vittime di atti persecutori non denuncino queste condotte, confidando, probabilmente, sul fatto che gli autori di detti comportamenti cessino spontaneamente di realizzarli. Ciò, purtroppo, ben difficilmente accade; di qui, allora, l’eventualità che le condotte minatorie ‘evolvano’ in atti di aggressione fisica, posti in essere da chi non è stato fermato in tempo. Il consiglio che sentiamo di rivolgere a tutte le donne che hanno paura per la propria incolumità è, dunque, uno: denunciare le condotte persecutorie di cui sono vittime. Solo in tal modo, infatti, si può cercare di prevenire la commissione di fatti ben più gravi, che, purtroppo, alimentano la triste contabilità delle donne uccise per mano degli uomini.
Alessandro e Giovanni Gentile
Articolo pubblicato sull’edizione cartacea in edicola il 22 giugno 2016