Da pochi giorni sono entrati in vigore i decreti legislativi che, in attuazione della delega al Governo da parte del Parlamento, portano a compimento la depenalizzazione di varie fattispecie di illeciti, che fino ad oggi erano ritenuti meritevoli della qualifica di “reati”. In effetti, da più parti, e da un po’ di tempo, si auspicava un intervento del genere, che, escludendo la rilevanza penale delle violazioni più lievi, consentisse di alleggerire il sistema di amministrazione della giustizia penale in favore dell’accertamento e della punizione dei reati di una certa gravità. Da parte nostra consideriamo una scelta del genere senz’altro condivisibile. Non era pensabile, infatti, tanto per fare un esempio, che una fattispecie come l’ingiuria, reato giustamente abrogato, facesse ancora parte, nel 2016, delle violazioni punite a livello penale. Lo stesso discorso, d’altra parte, potrebbe essere allargato ad altri illeciti, che pure sono state depenalizzati. Certo, è lecito pensare (soprattutto da coloro che auspicano il c.d.“diritto penale minimo”) che, forse, si sarebbe potuto avere più coraggio, in favore, quindi, di una più vasta opera di depenalizzazione; tuttavia, riteniamo che sia stato fatto, comunque, un passo importante, che, peraltro, può rappresentare un punto di partenza per futuri interventi similari. Anche perché occorre tenere presente che interventi normativi del genere richiedono, dal punto di vista politico, una certa cautela, in quanto c’è il rischio che gli stessi, rapportati all’opinione pubblica, risultino altamente impopolari: uno Stato che depenalizza può sembrare uno Stato che getta la spugna nei confronti dei criminali; di qui, dunque, la comprensibile prudenza del legislatore.
Alessandro e Giovanni Gentile
Articolo pubblicato sull’edizione cartacea in edicola il 17 febbraio 2016