IL CONSUMATORRE
Una delle norme più arcaiche del nostro Codice Civile è quella che vieta ad una divorziata di risposarsi prima che siano passati 300 giorni dallo scioglimento del matrimonio. Il divorziato, invece, può risposarsi anche il giorno dopo. Si tratta dell’art. 89 e la motivazione, non dichiarata, è quella di evitare che una divorziata resa incinta dall’ex marito possa risposarsi presto con un altro uomo, generando incertezze giuridiche di varia natura (soprattutto ereditarie) ed equivoci sulla paternità del nascituro. La norma, però, che si applica anche alle vedove, poteva avere una ragione nel 1942, ovvero allorquando è entrato in vigore il codice civile, ma oggi ci sono metodi che stabiliscono con assoluta certezza la paternità del nato. Il divieto di risposarsi prima di 300 giorni riguarda anche le donne che hanno ottenuto l’annullamento del matrimonio, tranne nei casi in cui il matrimonio sia stato dichiarato nullo per impotenza dell’uomo o sterilità della donna, oppure non sia stato consumato.
Negli altri casi, per la vedova o divorziata che contravviene il divieto vi è pure una sanzione di 27,33 euro (come oblazione) che non si sa chi dovrebbe infliggerla! La sanzione è talmente ridicola che, chiaramente, non spaventa nessuno per cui le vedove e le divorziate che desiderano risposarsi lo fanno prima. In alternativa, per stare in regola, dovrebbero fare un’istanza per ottenere una speciale autorizzazione dal Tribunale Civile che, sentito il parere del Pubblico Ministero, si riunisce in camera di consiglio e, dopo varie indagini affidate alla polizia giudiziaria per verificare che l’ex o defunto marito non abbia avuto rapporti con la moglie nei 300 giorni precedenti il divorzio o la morte, emette un decreto di autorizzazione al nuovo matrimonio prima dei 300 giorni. Questo, purtroppo, in teoria poiché la procedura è talmente macchinosa che, normalmente, il Tribunale emette il provvedimento dopo un anno, rendendo lo stesso praticamente inutile.
Antonio Cardella
Pres. Unione Naz. consumatori TdG