Le cronache degli ultimi giorni sono state dominate da alcuni episodi di cronaca, tra i quali spicca senz’altro il fermo del presunto assassinio della piccola Yara Gambirasio. Grande è stato il clamore suscitato da tale notizia, accolta da molti come epilogo di una vicenda che ha visto impegnati magistrati e polizia giudiziaria in
un’intensa attività d’indagine, il cui svolgimento ha richiesto, oltretutto, moltissimo tempo. Discutibili, però, sono state, almeno a parer nostro, le reazioni di chi ha, appunto, ritenuto di considerare chiuso il caso sulla base degli elementi fin qui acquisiti nei confronti del soggetto fermato; tra questi, peraltro, il ministro Angelino Alfano, la cui esternazione a riguardo non ha mancato di alimentare forti polemiche, vista anche l’alta carica ricoperta. Da p arte nostra, infatti, non possiamo non sottolineare la necessità di adoperare, in casi del genere, molta prudenza, in quanto, sebben e l’attività d’indagine possa portare all’acquisizione di forti elementi a carico di una persona, solo all’esito di un regolare processo potrà dirsi una parola definitiva sulla responsabilità dell’imputato (non più “indagato”) rispetto ad un episodio criminale. Il processo è il contesto nell’ambito del quale è concessa all’imputato ampia possibilità di difendersi, fino a quando non si giunga ad una sentenza non più impugnabile. Del resto, a riguardo, è indicativa la previsione dell’art. 27 comma 2 della Costituzione, che, sebbene non sancisca (almeno stando al tenore letterale della norma) una presunzione di non commissione del fatto, stabilisce, in ogni caso, la presunzione di non colpevolezza: “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.”.
Alessandro e Giovanni Gentile
Articolo pubblicato sull’edizione cartacea in edicola il 9 luglio 2014