Nell’ambito di un procedimento penale l’indagato, così come, in una fase successiva, l’imputato, può essere destinatario di una c.d. “misura cautelare”, un provvedimento che, prima che il procedimento volga a conclusione e, quindi, indipendentemente dal suo esito, limita la sfera giuridica di chi ne è destinatario. Le
misure cautelari possono avere un carattere assai afflittivo, se consideriamo che possono consistere anche nella custodia in carcere. A tutela di colui che è passibile di una misura cautelare il nostro codice di procedura penale stabilisce delle precise norme, che, a pena di nullità del provvedimento che dispone la misura, il giudice deve osservare. E’ di questi giorni, in proposito, la notizia dell’annullamento di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere in quanto il giudice che detto provvedimento aveva emesso si sarebbe limitato a copiare la richiesta (il giudice è chiamato a disporre la misura su richiesta del pubblico ministero) pervenutagli dal p.m.. Qualcuno, molto probabilmente, si sarà anche sorpreso nell’apprendere delle conseguenze della condotta del giudice; tuttavia, se, in effetti, detto giudice si è reso protagonista, nel caso di specie, di un semplice lavoro di “copia e incolla”, l’annullamento dell’ordinanza che disponeva la misura cautelare appare del tutto giustificato sul piano normativo. Ricordiamo, infatti, come accennato, che il provvedimento col quale vengono applicate misure cautelari deve avere un contenuto ben preciso, che include, tra le altre, l’esposizione delle ragioni che il giudice, e non altri, ha ritenuto sussistere per giustificare l’applicazione della misura. Riteniamo, allora, che un magistrato che si limiti a riportare in maniera pedissequa le argomentazioni sostenute nella sua richiesta di misura cautelare da parte del pubblico ministero commetta un grave errore che, come avvenuto solo pochi giorni fa, vada giustamente sanzionato.
Alessandro e Giovanni Gentile
Articolo pubblicato sull’edizione cartacea in edicola il 11 novembre 2015