L’Istituto, al fine di contrastare l’aumento dei ricorsi amministrativi e in alcuni casi anche giurisdizionali delle lavoratrici private e della gestione separata, spiega che la verifica dei certificati non deve incidere sugli aspetti indennitari della maternità, di competenza dell’Istituto, ma solo sulle eventuali responsabilità del datore di lavoro.
La circolare inoltre, per garantire un’applicazione delle norme maggiormente aderente all’attuale contesto lavorativo sempre più orientato verso forme di flessibilità e favorire la maggiore tutela delle lavoratrici madri, precisa che l’assenza o l’acquisizione non conforme al dettato normativo delle certificazioni sanitarie non comporta conseguenze sulla misura dell’indennità di maternità.
Pertanto, la documentazione sanitaria di cui agli artt.16, comma 1.1, e 20 del decreto legislativo n. 151/2001, non deve più essere presentata all’Istituto, ma solamente ai propri datori di lavoro e/o committenti.
Per potere fruire della flessibilità del congedo di maternità di cui all’art.20 del decreto legislativo n. 151/2001, le lavoratrici dipendenti devono acquisire nel corso del settimo mese di gravidanza (e, quindi, prima dell’inizio dell’ottavo mese) le certificazioni sanitarie attestanti che la prosecuzione dell’attività lavorativa durante l’ottavo mese di gravidanza non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro.
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Il menzionato articolo 20 prevede che tali certificazioni siano rilasciate da un medico specialista del Servizio sanitario nazionale o da un medico convenzionato, nonché, dove previsto, dal medico aziendale.
E’ quanto apparso sul sito istituzionale del Comune.