Una bandiera col vessillo dei Borbone al posto del Tricolore in una scuola torrese, col monito di rivedere la storia del Risorgimento. E’ la simpatica provocazione di un gruppo di studenti appassionati di Storia del Mezzogiorno, alunni del liceo Linguistico “G. De Bottis”, che invita a una revisione della versione ufficiale della nostra storia, riportata dai libri di scuola, e ad una rivalutazione del Regno delle due Sicilie.
La foto dell’affissione in classe del vessillo borbonico ha fatto il giro del web, incuriosito molti organi di stampa e intellettuali di tutta Italia e ricevuto, sui social media, oltre 30mila like.
“Portabandiera”, è proprio il caso di dirlo, di questa ideologia è una sedicenne torrese appassionata di storia, cultura e archeologia Meridionale, oltre che attivista in associazioni del Vesuviano, che si chiama Laura Noviello. La giovane allieva del linguistico torrese, nella cui classe ha compiuto il chiacchierato gesto, così commenta i propositi: «Lo stemma delle Due Sicilie rappresenta parte di noi e della nostra storia – dice Laura Noviello, studentessa del gruppo revisionista – e sapere che la maggior parte dei napoletani non lo conosce neanche è tristissimo. È stata compiuta una tale “damnatio memoriae” che nessuno ricorda più le proprie radici e la propria storia, mentre partire da questo stemma significa prendere in mano le redini e dire basta a tutto questo. Un popolo che non conosce il proprio passato non avrà futuro e lo vediamo quotidianamente. Bisogna contestare ciò che scrivono i libri di storia affinché i ragazzi assumano la consapevolezza di cosa è successo, conoscano cosa ci è stato nascosto. Il cambiamento può avvenire solo quando vi è consapevolezza. Da molto mi chiedo perché l’Italia sia così divisa, perché non vi sia senso d’appartenenza e le risposte riesco a darmele solo ora avendo studiato da libri “alternativi”». Il web si divide, ma molti fanno intendere di essere disposti a mettere da parte Cavour e Mazzini per un rilancio dell’importanza storica dei Borbone al Sud.
Francesca Mari
Articolo pubblicato sull’edizione cartacea in edicola il 11 dicembre 2013