Il Prof. Giuseppe De Natale, Dirigente di Ricerca all’INGV-Osservatorio Vesuviano di Napoli, Responsabile dell’Unità di Progetto “Dinamica dei Sistemi Vulcanici e Geotermia” e Coordinatore del Progetto Internazionale “Campi Flegrei Deep Drilling Project” (CFDDP), ha diretto recentemente ll’Osservatorio Vesuviano; inoltre è stato insignito della membership dell’Academia Europaea dal 2005, oltre ad aver pubblicato numerosi lavori ed articoli su prestigiose riviste scientifiche.
Da ottimo divulgatore De Natale ha saputo trattare molti temi afferenti alla vulcanologia campana, adoperando un linguaggio chiaro e comprensibile a tutti, pur supportato da argomentazioni di alto valore scientifico.
La sua conferenza è iniziata con un breve ma doveroso excursus storico sul prestigioso Osservatorio Vesuviano, fondato ad Ercolano nel 1841, per volere di Ferdinando II di Borbone.
Successivamente sono state mostrate al pubblico, attento e numeroso, una serie di slide, attraverso le quali si è passata in rassegna la storia eruttiva della Campania , che, secondo studi molto attendibili, diverse migliaia di anni fa era caratterizzata probabilmente da un’unica enorme caldera che occupava tutta la piana della nostra regione. Anzi, ha precisato De Natale, in base a ricerche effettuate dal suo gruppo, una delle più devastanti eruzioni europee, quella delle “Ignimbriti Campane”, risalente a 39.000 anni fa, potrebbe aver avuto origine da una caldera corrispondente alla attuale zona di Acerra, e non dai Campi Flegrei, come fino ad oggi si riteneva.
Per ciò che concerne l’attuale stato dei Campi Flegrei, invece, effettivamente il sollevamento del suolo lascerebbe intendere una spinta magmatica, tale da far scalare il livello di allerta da 0 a “giallo”, ovvero di “attenzione”. Diverso lo stato del nostro Vesuvio : qui il livello è 0, cioè al momento non ci sono significativi segnali precursori di eruzione, in base ai dati che emergono dal monitoraggio, che, come noto, è continuo e costante.
Naturalmente si è toccato il complesso tema della previsione di eventi eruttivi e dei relativi piani di allerta .
Su questo De Natale è stato chiarissimo : i segnali precursori sono di tre tipologie , cioè gli eventi sismici di origine vulcanica, le deformazioni del suolo, il cambiamento nella composizione chimica dei fluidi in prossimità dell’area vulcanica. I piani di allerta, anche quelli recentemente approntati, possono essere tutti migliorabili, vista l’enorme complessità delle azioni che richiedono e, soprattutto, vista l’altissima densità abitativa che caratterizza sia l’area flegrea che quella vesuviana.
L’esempio che il relatore ha portato in proposito è stato quello dell’evacuazione di Pozzuoli nel 1984, quando gli abitanti furono trasferiti a Monteruscello. Secondo De Natale è stato un piano di Protezione Civile molto riuscito e ben organizzato ; tuttavia forse non molti sanno che le persone furono evacuate non solo per i frequentissimi terremoti di origine vulcanica, ma anche perché c’era il concreto rischio di eruzione ( per fortuna rientrato).
In effetti , se si dovesse arrivare a scalare tutti i livelli di allerta fino al massimo, ovvero quello “rosso”, a quel punto il Premier avrebbe il delicatissimo compito di decidere o meno l’evacuazione in massa della “zona rossa”, quella maggiormente esposta ad eventuali micidiali flussi piroclastici. In tal caso il rischio di prendere la decisione sbagliata, in un senso o nell’altro, esiste e comporterebbe conseguenze facilmente intuibili.
Circa la recentissima pubblicazione sulla sacca magmatica scoperta al di sotto dei monti del Matese, De Natale ha espresso la sua perplessità in merito ad un eventuale incremento della sismicità dovuto all’ accumulo di magma in quella zona, peraltro già ad elevata ed acclarata sismicità di origine tettonica.
Marika Galloro